Relazione di fine mandato di Amedeo Sacrestano
Presidenza Associazione 2013 – 2017
Assemblea dei Soci – Roma, 7 giugno 2017
Gentili Colleghi,
è mia volontà svolgere alcune riflessioni, al termine del mio mandato di Presidente dell’Andoc per il periodo 2013 – 2017, ricordando un Collega, Enrico Gustarelli, che non ho avuto l’Onore di conoscere ma di cui ho tanto sentito parlare dall’Amico Sergio Caramella.
Sergio, da quando l’ho conosciuto, ha sempre espresso apprezzamenti entusiastici nei confronti di Enrico Gustarelli, tanto da far nascere in me, più che la curiosità, l’imperativo morale di do-cumentarmi su quanto avesse fatto questo nostro Collega, venuto a mancare, all’età di 91 anni, esattamente 8 anni fa, il giorno 8 giugno del 2009.
Da internet ho scoperto che Gustarelli era nato nel 1916; si era laureato alla Bocconi nel 1940 ed aveva sostenuto gli esami di Stato per la professione alla Ca’ Foscari nel 1946 (il ritardo fu dovuto alla guerra) con il Prof. Giordano dell’Amore.
Ho trovato, negli archivi dell’ANDoC, un numero della nostra rivista “Accademia del Dottore Commercialista” del dicembre 1994 e qui ho letto un Suo contributo, che è mia decisa volontà riportare di seguito:
È maturato in me il convincimento che nessuna attività umana, comunque esercitata, in qualsiasi stadio d’organizzazione e con qualsiasi sua finalizzazione, può prescindere da una “concezione morale” della vita, che, comunque, sia recepita da ciascuno di noi e che sempre sia presente e latente nella nostra coscienza.
Senza di essa, qualsiasi comunità non solo “perde di valore” ma nessuna legge potrà ottene-re un comportamento corretto, indispensabile affinché la comunità si sviluppi, cresca e non si disgreghi, s’immiserisca e muoia.
Ogni ambizione, per essere costruttiva, deve essere proporzionata al valore di ogni uomo e deve essere condizionata al senso morale della propria coscienza. Il momento storico, così drammaticamente vissuto da tutto il mondo, può – è questa la mia opinione – essere superato solo se ciascun individuo sarà capace di far prevalere, nel proprio intimo, i valori ineludibili del “comportamento etico” e dei “principi morali”, e non quelli del proprio egoismo e della propria volontà di dominio.
Riecheggia il monito di I. Kant “opera come se il tuo comportamento dovesse diventare legge universale”. Solo un lavacro personale di tutte le coscienze può consentire di superare il “grande buio” che l’obnubilamento delle coscienze stesse ha creato in questo ultimo decennio, in noi e attorno a noi.
L’economia – ammesso che sia una scienza – è una scienza sociale; studia i rapporti tra gli uomini che producono ricchezza e consentono la diffusione del benessere. Ogni comunità deve valorizzare queste energie individuali, stabilendo precise regole che non le modifichi, non le condizioni e non le distrugga ma, al contrario, le esalti, le premi e ne consenta l’affermazione, stabilendo però i limiti da rispettare affinché la vita economica si svolga in modo ordinato, civile e non selvaggio.
L’impresa è il centro della produzione della ricchezza: ma è anche un centro di formazione della persona umana; una comunità in cui ciascuno deve poter trovare la realizzazione della propria vocazione. Per questo, prima di essere un centro di produzione economica, è un centro di educazione umana.
In questo contesto, l’etica diviene una componente essenziale nella conduzione dell’impresa, in quanto comunità di uomini, i quali nell’impresa, come nella vita, devono improntare il loro comportamento a quei principi morali che dovrebbero essere in loro radicati.
L’etica nell’impresa, quindi, deve permeare tutte le attività della stessa. In quanto rivolta “sia all’interno che all’esterno”, ai protagonisti non solo del ciclo economico ma della vita stessa di ogni comunità.
L’etica, che è comportamento, significa quindi “rigore in tutte le fasi della realtà aziendale”; nella produzione (qualità totale), nella distribuzione (promozione corretta), nell’approvvigionamento (mantenimento degli obblighi contrattuali), nell’informazione (ostensione della realtà patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda) e nella finanza (lealtà nei rapporti con gli istituti di credito).
Altre interrelazioni possono agevolmente essere aggiunte, secondo l’esperienza di ognuno.
Questa riflessione ha una sua logica conclusiva: l’etica non è componente posticcia che, in quanto moda, si possa abbinare all’economia. Ma l’economia – se e in quanto scienza sociale e, quindi, scienza degli uomini – è una realtà etica che, quando perde questa connotazione, degenera essa stessa sia negli studi della macroeconomia, sia nella realtà della microeconomia, e non raggiunge le sue finalità essenziali, che non sono solo quelle della realizzazione di un reddito ma sono quelle della creazione della ricchezza, della diffusione del benessere e, soprattutto, della formazione dell’educazione di tutti coloro che agiscono nella comunità aziendale.
Concludo ricordando un aforisma di H. Coben “l’etica è una scienza pura, in quanto considerata il dover essere come condizione e possibilità del volere” e un altro di Aristotele “la felicità consiste nel vivere conformemente alla virtù, solo così possiamo essere felici e possedere il sommo bene”. È sempre di Aristotele “chi, essendo degno di piccoli onori, si ritiene di meritarmi dei grandi è biasimevole: è, infatti, cosa dissennata e non è bello ottenere di più del merito”.
Se è vero che la vita è un bene per natura, questo bene non deve essere distrutto dall’incapacità di volere il bene stesso. E se è vero, come insiste Aristotele, che la felicità consiste nel vivere secondo i principi della virtù – ed io aggiungo, secondo i principi ineludibili della morale – solo la mancanza di un minimo di saggezza può aver portato il nostro secolo a questa aberrazione e ottundimento delle coscienze, che la forza della vita e la gioia di vi-vere non potrà che riscuotere, così da convincere ciascuno di noi che solo il comportamento corretto di ognuno può innestare quel circolo virtuoso necessario affinché la nostra vita costituisca “esempio per gli altri” e di alla stessa un significato che la renda “degna di essere vissuta”.
Giunto all’autunno della sua stagione professionale, Gustarelli volle compendiare la sua lunga e fruttuosa esperienza in un “Decalogo della mia professione” che aveva fatto incidere su tavolette d’argento che aveva poi regalato agli amici. Lo riporto di seguito.
1. La professione è vocazione: segnata nel nostro D.N.A.
2. La professione è scienza: elaborata senza requie dalla nostra mente.
3. La professione è tecnica: aggiornata continuamente dal nostro studio.
4. La Professione è arte: stimolata e vivificata dalla nostra intuizione.
5. La professione è etica, comandata dalla nostra coscienza.
6. Il cliente è uomo: da conoscere ed apprezzare nella sua ineludibile singolarità.
7. Il cliente è amico, da accettare coi suoi dubbi e colle sue indecisioni.
8. Il cliente è partner, da coinvolgere nella esperienza e nella dialettica.
9. L’impresa è struttura: da comprendere nella sua essenza.
10. L’impresa è movimento: da vivere insieme da suo interno.
Non credo di dovere aggiungere null’altro a questa mia relazione di fine mandato, se non l’espressione di gratitudine commossa nei confronti dei Colleghi che mi hanno preceduto nel dare un’Anima a questa Associazione.
Essi, col Loro Esempio ed il proprio Impegno, mi hanno consentito in primo luogo di accrescere il modesto bagaglio umano che mi accompagna, regalandomi prima una vicinanza umana e (successivamente e con grande Generosità) l’Onore di poter rappresentare in prima persona i Principi condivisi della nostra Associazione. Principi che mai dovranno mancare, sino a quando esisterà l’Uomo, prima del Professionista.