Qualche settimana fa ho ricevuto dal Dott. Caramella, storico sostenitore nonché fondatore ed ex vice-presidente dell’ANDOC, un plico contenente tutti i numeri della “Accademia del dottore commercialista” ed una lettera accompagnatoria in cui mi illustrava in brevi linee lo spirito che ha caratterizzato negli anni l’Associazione di cui faccio parte. Oltre ad essere compiaciuto dal gesto del Collega, per il quale nutro profonda stima per il Suo “Amore sviscerato per la nostra professione”, sono rimasto colpito dalla passione che traspirava dalla Sua lettera nel passaggio in cui faceva riferimento alla trilogia “cultura, meritocrazia, etica”, valori che definiva non solo emblematici ma di estrema attualità. Il primo pensiero cui è andata subito la mia mente è stato quello del momento storico in cui vive il nostro Paese: una nazione in cui gli ideali vengono il più delle volte solo sbandierati, un paese in cui l’etica è tirata in ballo solo per il gioco delle parti tra garantisti e giustizialisti, un paese in cui la cultura, usando una provocazione, “si compra”, un paese in cui la meritocrazia è calpestata giornalmente dai potenti di turno. Dalla lettura attenta degli articoli dei periodici della “Accademia del dottore commercialista”, che mi ha permesso di conoscere le numerose battaglie culturali e sindacali portate avanti nell’ultimo ventennio dai colleghi che hanno fatto la storia di questa Associazione, ho maturato la consapevolezza dell’importanza del ruolo affidatomi all’interno dell’ANDOC e soprattutto mi sono chiesto se fossi stato mai all’altezza di trasmettere valori così forti. Così la mia coscienza è stata richiamata da una profonda riflessione : come rendere tangibili questi valori in una società in cui la prassi è la violazione delle regole? Come rendere il più possibile oggettivi questi valori per dare un’opportunità o meglio una speranza ai giovani colleghi che si accingono a svolgere la nostra professione? Sul primo punto penso che non è mio compito rispondere in quanto spetta alla Politica indirizzare le nuove generazioni a riappropriarsi dei valori fondanti della nostra democrazia. Sul secondo punto invece ritengo che sia doveroso da parte mia provare a dare un contributo partendo dal presupposto che la tutela sindacale che dovremmo assicurare ai nostri iscritti debba essere indirettamente proporzionale alla “quotazione” del dottore commercialista1. Per colleghi meno “quotati” (ma non perché meno capaci) penso soprattutto ai giovani Dottori che trovano difficoltà ad accedere al mercato. E’ indelebile il ricordo di uno sfogo di un giovane collega del mio circondario: sono sposato, ho finalmente superato l’esame di abilitazione da Dottore Commercialista ma mio malgrado non ho clienti, che faccio? Non ho saputo rispondere e forse neanche era possibile dare una risposta ma ho capito il ruolo che un sindacato di categoria dovrebbe avere oggi. Il sindacato dovrebbe garantire un’assistenza diretta al singolo iscritto in modo tale da tutelarlo dalle Istituzioni invadenti. Allora cerco di avanzare una proposta e dare indirettamente anche al mio giovane amico e collega una timida speranza al suo futuro professionale. Secondo me dovrebbe essere abolita quell’odiosa norma di cui all’art. 9 comma 5 del D.lgs 139/2005 in cui viene previsto che “l’elettorato passivo spetta a tutti gli iscritti che, alla data di convocazione dell’Assemblea elettorale, abbiano maturato cinque anni di anzianità di iscrizione nella rispettiva sezione dell’Albo”. Con questa norma quel giovane mio collega è beffato due volte: una perché ha difficoltà ad entrare nel mercato e due perché non può farsi portavoce della propria problematica e quella di chissà quanti altri coetanei all’interno delle Istituzioni che ci governano. È definito elettorato passivo la capacità giuridica di ricoprire cariche elettive. Allora mi chiedo perché non dovrebbe essere capace un giovane dottore commercialista appena abilitato ad essere candidato a diventare un componente del Consiglio del proprio Ordine territoriale se al contempo è stato giudicato da una commissione pubblica ad essere idoneo e soprattutto capace ad intraprendere una professione difficile come quella del Dottore Commercialista. La stessa preclusione si ha per la composizione del Consiglio nazionale; difatti all’art. 25 comma 3 del D.Lgs 139/2005 sono previsti per l’elettorato passivo addirittura dieci anni di anzianità di iscrizione nell’albo. Mi sembrano norme volte solo a mantenere le rendite di posizione dei baroni della professione, o come definiti in precedenza, dei colleghi più “quotati”. La mia proposta è quella di garantire l’elettorato passivo, sia territoriale che nazionale, a tutti i Dottori Commercialisti, indipendentemente dall’anzianità di iscrizione all’Albo. Ma ancor di più, per tutelare quell’ampia fascia di giovani colleghi che mi sta tanto a cuore, sarebbe importante garantire con una norma “ad hoc”, l’elezione di almeno un membro che abbia un’età al di sotto dei 35 anni. Difatti quel giovane mio collega solo in questo modo potrebbe almeno provare a far sentire la sua voce ed essere il collettore delle tante problematiche che i giovani Dottori Commercialisti stanno vivendo in questo preciso momento storico. Difatti, le nuove generazioni di Dottori Commercialisti, a differenza dei loro maestri, stanno vivendo un’era caratterizzata da una condizione di precarietà soprattutto nella fase iniziale della carriera professionale. Dobbiamo in pratica far in modo che i giovani colleghi diventino gli ideatori del loro futuro.